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Ma lo sai che mi sento a casa?

Cinque giovani della casa salesiana di Trento e la loro esperienza di condivisione a Bacau.


Ma lo sai che mi sento a casa?


Cinque giovani della casa salesiana di Trento e la loro esperienza di condivisione a Bacau.


La domanda è arrivata un po' inaspettata: “Vuoi venire in Romania quest'estate?”. Sembrava quasi uno scherzo, una di quelle cose che si dicono così, per vedere l'espressione che fa la persona a cui lo chiedi e riderci un po' su. Ma non si trattava di uno scherzo. Capito questo, si comincia un po' a fantasticare, ma soprattutto a cercare il momento e il modo giusto per chiederlo ai genitori, perché ovviamente il desiderio di andare c'era, ed era anche grande! Trovato il coraggio, si domanda e si sente cosa dicono. E per noi la risposta è stata affermativa!


Allora, a inizio luglio, siamo partiti da Trento in cinque, con le valigie quasi vuote, ma con tanta voglia di metterci in gioco, di essere veramente anche noi una missione per la vita degli altri. Arrivati in aeroporto, ci è sembrato scontato passare per la cappellina. Lì abbiamo affidato i giorni che avremmo trascorso a Maria, che ci ha aiutati tantissimo in tutto.


Il viaggio è stato un po' travagliato: a Bacau stava diluviando, non era sicuro atterrare (mentre ci provavamo ci ha colpito un fulmine!). Siamo arrivati in un piccolo aeroporto e da lì siamo stati accompagnati in macchina in una stazione dei pullman, dove abbiamo preso una corriera che ci ha portati in una città a un'oretta in macchina da Bacau. Lì siamo stati recuperati e siamo arrivati sani e salvi, con solo 6 ore di ritardo.


Arrivati in oratorio la nostra curiosità era grande, la nostra gioia ancora di più: nessuno di noi aveva mai fatto un'esperienza di questo genere così lontano dall'Italia. C'era tanto desiderio di scoprire tutto: in questo ci hanno aiutato tantissimo i salesiani e i ragazzi, molto disponibili in tutto e contenti di averci lì con loro.


La giornata era intensa: sveglia, lodi, colazione, accoglienza dei bambini, incontro formativo, gioco, danze, pranzo, laboratori, gioco, saluti, sistemazione, vespri, messa, cena... Insomma, non ci si annoiava mai! I ragazzi erano aperti e curiosi: molti dei più piccoli ci parlavano, ci facevano domande in rumeno e non sempre riuscivamo a far capire che noi non li capivamo. Però basta poco, uno sguardo, un sorriso, un abbraccio e tutte le barriere linguistiche si abbattono. Il secondo giorno una bambina, per provare a farsi capire meglio, ha portato il suo quaderno di inglese e cercava di tradurre le parole dal rumeno e ad insegnarcele. Nel pomeriggio, durante i laboratori, c'erano attività manuali: allora in quei momenti noi insegnavamo cose a loro e loro a noi. Alcuni bambini ci regalavano braccialetti, disegni o scritte fatte a punto e croce. Molti ragazzi, quando vedevano che anche noi siamo ADS, si avvicinavano con meno timore, ci facevano vedere il loro fazzolettone e ci abbracciavano. Ci siamo sentiti ancora più vicini grazie al nostro amico Domenico Savio.


Una cosa che ci ha stupiti tantissimo è stata la moltitudine di ragazzi e giovani che ogni sera si riuniva in oratorio, aperto dalle 20 alle 22, per giocare un po' insieme a calcio, a pallavolo, con giochi da tavola o facendo i giocolieri. Ci siamo inseriti nei loro tornei di pallavolo, a volte seri, a volte molto selvaggi e senza regole, divertendoci in loro compagnia.


È stato un dono immenso andare lì, stare a contatto con altri bambini, ragazzi e animatori che come noi e con noi vogliono condividere il cuore di don Bosco. Non con tutti si riusciva a parlare, spesso l'inglese non bastava, ma le emozioni si capiscono a prescindere dalla lingua o dalla nazionalità. Non è stato difficile voler bene ai ragazzi di lì, così aperti e curiosi.


Nonostante tutte le differenze che ci possono essere tra Romania e Italia, tra gli ambienti che abbiamo noi a Trento e quelli che hanno a Bacau, tra le età e la quantità dei ragazzi dell'oratorio e della nostra scuola media, la cosa veramente incredibile era come lo spirito fosse lo stesso, lo scopo della nostra presenza fosse lo stesso: Salve salvando salvati. Così quello che può sembrare un semplice gioco di parole, diventa uno stile di vita, vero in tutti i contesti e in tutti i luoghi.


D'altronde, Dio c'è, i ragazzi pure... E allora cosa cambia?

 

 

 

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